Fate mai caso ai nei sul vostro corpo?
A meno che non sia richiesto da una visita in particolare, o qualche strana macchia che appare dove prima non c’era, i nei che stanno lì pressoché da sempre, che fanno parte della nostra figura, non attirano l’attenzione e, al contrario, ci caratterizzano.
Il mio primo capello bianco invece, no. L’ho notato eccome, spuntato non so bene da dove, solo et pensoso, in cima al cuoio capelluto, che verte a destra e si spana come una vite che ha girato e rigirato su se stessa disallineandosi poco per volta. Bianco, inequivocabilmente, tra le centinaia di sfumature che raffreddano il mio colore biondo cenere. Nel bagno dell’ufficio, qualche settimana fa, complice la luce forte, l’ho guardato per bene, spostando le ciocche. Poi, ho chiesto conferma a qualche collega se fosse proprio bianco o se avessi visto male. M’ha fatto effetto. Non è un problema, ma lì per ì l’ho vissuta male. Poco dopo, l’ho scordato. E poi, ho compiuto gli anni. 32, per la precisione. Non 30, che uno svolta e celebra, non 31 che uno si è appena ambientato in città e sboccia una sera in un locale. 32, arrivati piano, cadenzati dalle settimane di questa primavera guasta. Mi hanno suggerito “Celebra!” – e ho abbozzato una festa che per pigrizia ho completato solo a metà.
Almeno, così credevo, fino a quando non sono rimasta sul divano di casa con alcuni amici che si erano intrattenuti ancora un po’ e – come spesso accade – ho solo realizzato che le cose che preferisco non sono mai veramente articolate o complesse. Scelgo solo strade tortuose per realizzarle. Stiamo insieme, mangiamo qualcosa di buono che preparo io, beviamo quello che piace a tutti e mette allegria, stiamo all’aperto. Se ti va, proponi un gioco, se vuoi parlare con qualcuno in particolare, cercalo. Ringrazia, se hai dubbi chiedi, se hai un’idea, proponila. E mi gratifica, in questi casi, l’accoglimento.
Alle 13.30 pioveva. Il tavolo del giardino era già bagnato dall’acqua, eccetto la parte che avevo ricoperto con un telo di plastica. Man mano che gli amici e i colleghi arrivavano, suonavano il citofono, e salivano dentro casa, riorganizzata in extremis per effettuare il pranzo al coperto. Alle 15 il cielo era di nuovo aperto, ma non ci avevamo fatto caso, finché non ho invitato tutti a scendere, e infine, a portar via le cose da gettare ci abbiamo pensato tutti. Semplice, bello. Neanche troppo sporcato dall’immancabile ansia del giorno: ero convinta che se non avessi occupato per tempo il tavolo che preferivo del giardino, i soliti condomini che ogni giorno trascorrono delle ore in cortile, l’avrebbero monopolizzato. E non avevo voglia di contraddire qualche vecchietto rincuorato dalle proprie abitudini. Quel che è certo, è che oggi, li abbiamo impegnati tantissimo: “Chi sono? Chi di loro abita qui? Avranno lasciato pulito?”.
Non ho contezza, al contrario, delle tematiche che potrebbero coinvolgerli tra loro, se si reputano amici, o se si giudicano, se si fanno i conti in tasca o si stimano. Gli ho sorriso come avrei sorriso ai ragazzetti che giocavano a palla più in là, con l’approccio identico sempre. Gli ho sorriso perché – loro non lo sanno – ma stavo realizzando un mio desiderio. Stavo bene e sentivo che tutto era in ordine – eccetto la maniglia della mia stanza, ma questa è un’altra storia. Chissà come stanno loro, con tutti i capelli bianchi sulla testa. Quanti desideri avranno espresso sulle candele che hanno soffiato? Di che parlano i loro sogni? Sognano ancora?
Ho scoperto tardi che desiderare è una pratica umana sana e importante. Non mi ricordo nemmeno cosa sono stati i miei compleanni prima che iniziassi io a scegliere per me. Hanno iniziato dei buoni amici, prima ancora che da sola, a certificare con i loro gesti che andava celebrato ciò che ero, e che si poteva protendere a ciò che desideravo essere senza giudizio o paura. Ricordo quel biglietto di un concerto, il completo intimo del 2018 che conservo ancora, orecchini in argento, quadri, anelli, lampade e viaggi.
Perciò, grazie per i bei regali pensati, non dovevate. Una delle cose che preferisco provare nella mia vita è essere vista, quale che sia l’ambito, l’interlocutore, la circostanza, se mi riconosco, possiamo avere una qualche relazione. Ed è una sensazione davvero, davvero commovente. Questo vale per ciascuno dei gesti che ho ricevuto per il mio compleanno, incluse le chiamate tardive, che bello è, volersi dire bene a tutti i costi. Grazie, ancora! Ci tengo, in particolare, che questo grazie vi restituisca anche qualcosa. Qualche settimana fa, al concerto di Vasco Brondi, tra una canzone e l’altra, lui si è preso un paio di minuti per proclamare questa poesia che mi ha colpita, almeno per due ragioni: per quello che evoca e perché ha scelto di proclamarla lì, in quel modo, mettendosi ancora più a nudo, più di quanto un cantautore faccia già portando sul palco le sue canzoni. Credo che poche altre cose mettano a nudo l’anima come le parole. Ci rivelano, ci raccontano, le parole che scegliamo siamo noi stessi, nelle nostre molteplici versioni. Avrei dovuto proclamarla oggi, forse, sotto la pioggia magari, sicuro, voglio condividerla:
Ti offro strade difficili, tramonti disperati,
la luna di squallide periferie.
Ti offro le amarezze di un uomo
che ha guardato a lungo la triste luna.Ti offro i miei antenati, i miei morti,
i fantasmi a cui i viventi hanno reso onore col marmo:
il padre di mio padre ucciso sulla frontiera di Buenos Aires,
due pallottole attraverso i suoi polmoni, barbuto e morto,
avvolto dai soldati nella pelle di una mucca;
il nonno di mia madre – appena ventiquattrenne –
a capo di un cambio di trecento uomini in Perù,
ora fantasmi su cavalli svaniti.Ti offro qualsiasi intuizione sia
nei miei libri, qualsiasi virilità o vita umana.
Ti offro la lealtà di un uomo
che non è mai stato leale.Ti offro quel nocciolo di me stesso
che ho conservato, in qualche modo –
il centro del cuore che non tratta con le parole,
nè coi sogni e non è toccato dal tempo,
dalla gioia, dalle avversità.Ti offro il ricordo di una
rosa gialla al tramonto,
anni prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni di te stessa,
teorie su di te, autentiche e sorprendenti notizie di te.
Ti posso dare la mia tristezza,
la mia oscurità, la fame del mio cuore;
cerco di corromperti con l’incertezza,
il pericolo, la sconfitta. – Borges