Annus horribilis

Niente a confronto con il 2020 della Regina Elisabetta che tra la Megxit e lo scandalo Epstein alla veneranda età di 94 anni chiude un’annata nefasta. Che sia stato un anno di merda è notorio, non serve neanche ribadire le innumerevoli ragioni che tutt’oggi mi regalano fantastici sogni in cui ho paura di stringere la mano alla gente.Quindi, sarà più catartico ripercorrere una manciata di motivi per cui, nonostante tutto, posso dire che è stato bello esserci stata in questo annus horribilis.

A gennaio ho sottoscritto un abbonamento per la palestra e ci sono pure andata. Il miglior ricordo che conservo di quei bui pomeriggi in bici per raggiungere via Rapallo, è l’odore di grissini appena sfornati davanti alla fabbrica Pandea e una tabella che indicava 3 gradi centigradi netti. Percepiti nessuno, perché non avevo sensibilità tattile. Ne è rimasto un vaucher del valore complessivo di 77 giorni di ingressi da spendere entro maggio 2021. Ahaha!

A febbraio ho condotto la mia prima intervista dal vivo. Ero a Parma, ma ho dichiarato di trovarci a Palermo.

A marzo sono finita in quarantena per 20 giorni ma non avevo il Covid. Avevo però la vista sul mare e una bottiglia di vino che papà mi aveva lasciato dietro la porta.

Ad aprile ho aperto il mio blog, questo blog, e ho giurato a me stessa che non sarebbe stato un anno vano. Anche perché ho temuto il peggio per la mia salute mentale quando mi sono arrampicata sul tetto del terrazzo di casa e ho salutato energicamente i vicini due strade più su.

A maggio ho compiuto 28 anni e ho realizzato che avrei trascorso un’intera estate in paese, come non mi succedeva da anni. Poi, ho realizzato che avrei trascorso un’intera estate in paese…

A giugno mi sono improvvisata regista, podista e assaggiatrice di arancine in favore di camera. Ho iniziato a lavorare sodo per un progetto che non sapevo dove mi avrebbe portata. Per sicurezza, ho comunque sperimentato la schiarita naturale ai capelli…salvo buttarmi a mare dopo la piega. Perché sono così io, fruciuna.

A luglio mi sono tatuata un’ Araba fenice sulla schiena, ho avuto una vertigine su un albero ma ero imbracata, quindi non fu un brivido vero.

Ad agosto ho celebrato l’amicizia, quella di sempre e quella appena nata fra le mura in pietra troppo spesse di un vecchio pub. Ho passato tanto tempo sola tra gli scogli e il mare. Ho avuto paura, ho tenuto il fiato sospeso per ore e poi ho respirato di nuovo.

A settembre ho finto fosse ancora estate e ho remato a largo su una canoa biposto, con tanta incoscienza ma soprattutto mettendo a repentaglio la vita della mia amica Martina che non so perché mi ha assecondata in quello strano modo di restare a galla. Poi ho ripreso il microfono, stavolta ero nel posto giusto, al momento giusto e non ho mai sbagliato coordinate.

A ottobre ho accettato un invito a pranzo che non volevo accettare e tra il tofu e una strana cameriera stressata per le norme di contenimento, ho realizzato quanta vita era stata rimandata fino ad allora.

A novembre ho risalito la vetta di una montagna dell’Appennino tosco-emiliano, anche se credevo che non ce l’avrei fatta. Non è che ora posso dire che basta crederci, perché ho odiato la retorica della mia coscienza anche quel giorno, e mi sono maledetta continuamente per quell’impresa. La morale di quel giorno in montagna è che devi fare il cazzo che ti pare sempre, anche se poi te ne penti.

A dicembre ho scoperto di non soffrire più il freddo.

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