Erba di casa mia

posidonia

La commessa del negozio di cosmetica ha speso con me tre quarti d’ora per trovare un fondotinta adatto, che coprisse senza appesantire, con una texture indicata. Ero entrata in negozio dopo l’ennesima notte insonne per via del caldo. Avevo una pessima cera: le occhiaie bluastre, le vene sporgenti, i rossori escoriati da una vita così. Si è impegnata un sacco e alla fine mi ha anche regalato una crema per il contorno occhi. Funziona. È stato come un grillo parlante sulla spalla che – essendo in Sicilia – avrebbe detto: “arripigghiati”. Perciò, un po’ per obbligo un po’ perché sul mare siamo sempre tutti d’accordo, ho scelto il copione del weekend.

Finale (PA), a destra la Spiaggia Marina

Posidonia

Alla Marina si accede direttamente dal centro abitato, a pochi passi da casa mia. La spiaggia è stretta e piena di sassi enormi che rendono l’accesso in acqua impervio, ma noi diremo avventuroso. Una volta spinti tra le onde, appare lo spettacolo di un fondale incontaminato. Una distesa infinita di posidonia, più verde e più scura. È una tipica erba Mediterranea d’acqua, molto simile alle piante che possiamo trovare a terra, più che alle alghe. Produce ossigeno in quantità. Quella che muore si stacca e il moto del mare la riversa sulla spiaggia formando un tappeto morbido, ne riporti a casa qualche filo, non per ricordo, ma perché è talmente innocua da non sentirsi addosso. L’avventura prosegue su uno scoglio o due, alcuni fuoriescono dall’acqua. Se prendi le misure con i piedi e ti aiuti con un po’ di addominali sali subito su, oppure ti fai accompagnare dalle onde. Il sole scalda la superficie e un po’ anche te, restituendoti un dolce rossore.

Storie a pelo d’acqua

C’è tempo per un drink a ogni ora e risalite al tramonto, quando il mare diventa cobalto e il costume bagna un’inutile pezzo di cotone che teniamo addosso per ricomporci. Ci sono età per ogni stagione della vita: bimbi, giovani coppie, anziani, comitive. Ci sono quelli che arrivano perché hanno visto il posto su Instagram e altri che non vogliono rinunciare ai servizi. I predatori del turismo e amanti della natura. Weekendisti e passanti. Puoi ascoltare storie a pelo d’acqua: suocere che hanno da ridire sui suoceri dei loro figli e ragazze affascinate dall’angolo con il salvagente per un set naturale. Nei discorsi non resta spazio per i temi mainstream: di fronte al mare ai arrendono anche i tuttologi. Quindi resta l’unto della crema dopo sole, essenze che sulla pelle diventano promesse, abbracci delicati, carezze, bollori. È l’estate, bellezza.

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Case a strapiombo sull’acqua

Gibilmanna, appena dietro il Santuario, luogo di meditazione e unioni nuziali. Un addetto ripulisce il cortile del convento che un tempo fu borgata. Un tornio, le casupole, i fiori tutto intorno. Prendiamo il sentiero più veloce per raggiungere la pendice della montagna. Non c’è molto dislivello ma ho già il fiato corto. Sento freddo a tratti, il sole di aprile non convince ancora. A metà tragitto sono già sudata, ma l’aria è frizzante e decido di coprirmi. Tra gli arbusti si distingue a mala pena il viottolo oltre il quale è già precipizio. Si apre una larga veduta sulla Valle di Siro, abitata da un vigneto imponente. Appena oltre è Cefalù: fanno la sua figura la Rocca, il porto, e persino un paio di imbarcazioni appena a largo. Se abbasso lo sguardo trovo lavanda.

Le montagne ti proteggeranno

Le montagne separano una ad una le borgate della Madonie. Le conosciamo bene: sono i luoghi della vita. I paesi incastonati in quei lembi di terra curvi, alti, avvallati, scavati, immobili. Un tempo niente, poi tutto, poi di nuovo niente. Pollina, avamposto. San Mauro, dietro. Castelbuono, dilagante. Geraci, appena uno scorcio. Sono la vita a Est. Il cielo è pulito, nessuna foschia: così si distinguono persino le case di Lipari. Le Isole Eolie ci sono ancora, ci sono sempre. L’orizzonte disegnava una linea oltre Alicudi, che appare più vicina. Da quell’altezza si avverte quasi impercettibile che la Terra tende a tondeggiare. Riscendiamo. Scivola, ma non fino a terra. Ci sbilanciamo più volte, le pietre sono fini e tendono la trappola. Restiamo cauti. Non cadiamo.

Una storia del mare

Un gabbiano si abbassa veloce sul piazzale, le panchine sono vuote, tira vento di maestrale. Il mare è increspato, puoi sentirlo. Ma in fondo è fermo, nel complesso immobile. Non ho niente da dichiarare, ho solo un tempo per me. Per le coperte ad aprile e una tavola piena. Non ho niente da cercare. Le cialde per il caffè, le creme riposte in qualche ripiano dimenticato. Mi appoggio solamente per qualche giorno, neanche tiro fuori le pezze dalla valigia. Un gelato al bar, un saluto da lontano. Sei arrivata, sei ripartita. Giusto il tempo di raccogliere la biancheria caduta alla vacina mentre stendeva. Mi cala la corda, la sistemo sul gancio. Arrivederci, ciao. Ho ripulito la bici, ne aveva di polvere. Un po’ d’aria nelle gomme, sfacciandomi dal meccanico. Tempo di annunci e saluti, tempo denso, passo dopo passo sulla Statale, sul versante esposto alla corrente. Sorridono gli occhi. Qualcuno è stanco. Si osa progettare l’estate, tempo mistico, sospeso, agognato, indiscusso, sacro. Tempo che verrà. Tempo di andare. Casa tra le case a strapiombo sull’acqua.