Case a strapiombo sull’acqua

Gibilmanna, appena dietro il Santuario, luogo di meditazione e unioni nuziali. Un addetto ripulisce il cortile del convento che un tempo fu borgata. Un tornio, le casupole, i fiori tutto intorno. Prendiamo il sentiero più veloce per raggiungere la pendice della montagna. Non c’è molto dislivello ma ho già il fiato corto. Sento freddo a tratti, il sole di aprile non convince ancora. A metà tragitto sono già sudata, ma l’aria è frizzante e decido di coprirmi. Tra gli arbusti si distingue a mala pena il viottolo oltre il quale è già precipizio. Si apre una larga veduta sulla Valle di Siro, abitata da un vigneto imponente. Appena oltre è Cefalù: fanno la sua figura la Rocca, il porto, e persino un paio di imbarcazioni appena a largo. Se abbasso lo sguardo trovo lavanda.

Le montagne ti proteggeranno

Le montagne separano una ad una le borgate della Madonie. Le conosciamo bene: sono i luoghi della vita. I paesi incastonati in quei lembi di terra curvi, alti, avvallati, scavati, immobili. Un tempo niente, poi tutto, poi di nuovo niente. Pollina, avamposto. San Mauro, dietro. Castelbuono, dilagante. Geraci, appena uno scorcio. Sono la vita a Est. Il cielo è pulito, nessuna foschia: così si distinguono persino le case di Lipari. Le Isole Eolie ci sono ancora, ci sono sempre. L’orizzonte disegnava una linea oltre Alicudi, che appare più vicina. Da quell’altezza si avverte quasi impercettibile che la Terra tende a tondeggiare. Riscendiamo. Scivola, ma non fino a terra. Ci sbilanciamo più volte, le pietre sono fini e tendono la trappola. Restiamo cauti. Non cadiamo.

Una storia del mare

Un gabbiano si abbassa veloce sul piazzale, le panchine sono vuote, tira vento di maestrale. Il mare è increspato, puoi sentirlo. Ma in fondo è fermo, nel complesso immobile. Non ho niente da dichiarare, ho solo un tempo per me. Per le coperte ad aprile e una tavola piena. Non ho niente da cercare. Le cialde per il caffè, le creme riposte in qualche ripiano dimenticato. Mi appoggio solamente per qualche giorno, neanche tiro fuori le pezze dalla valigia. Un gelato al bar, un saluto da lontano. Sei arrivata, sei ripartita. Giusto il tempo di raccogliere la biancheria caduta alla vacina mentre stendeva. Mi cala la corda, la sistemo sul gancio. Arrivederci, ciao. Ho ripulito la bici, ne aveva di polvere. Un po’ d’aria nelle gomme, sfacciandomi dal meccanico. Tempo di annunci e saluti, tempo denso, passo dopo passo sulla Statale, sul versante esposto alla corrente. Sorridono gli occhi. Qualcuno è stanco. Si osa progettare l’estate, tempo mistico, sospeso, agognato, indiscusso, sacro. Tempo che verrà. Tempo di andare. Casa tra le case a strapiombo sull’acqua.

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