Lampade da terra

Sono entrati molti oggetti in questa casa, da quando ci ho portato dentro le cose della mia vita. Nel pavimento della camera da letto c’è ancora un angolo con un paio di scatole che non ho svuotato. Contengono cianfrusaglie accumulate in 18 mesi a Roma e roba nuova per sostituire quelle che si consumano, come le spugne da doccia – che ahimè, uso ancora – non avendo trovato una valida alternativa.

E prima di altri, quando non sapevo ancora bene come avrei disposto certi mobili in soggiorno, è entrata una lampada da terra, con doppio lume, uno fisso verso l’alto, e l’altro orientabile in più direzioni, più forte e intenso, adatto alla lettura o alle foto quando tento di sembrare pensierosa sui miei social. Atemporali, eterne, senza l’esigenza di seguire correnti architettoniche. Oggetti di Design che conservano un fascino costante. Color argento, minimal, non ho avuto grandi dubbi a sceglierla, mi serviva.

Mi tiene compagnia ogni sera da quasi cinque mesi ormai, mentre ceno, mentre sbrigo la burocrazia al pc, mentre scrollo Tik Tok, mentre leggo il libro mantra di questo ultimo periodo fitto ma tedioso. Se la spengo, è ora di andare a letto. Se la accendo, è arrivato il momento della giornata in cui mi riconnetto a me stessa, allo spazio che ho scelto per me, ai pensieri scroscianti come ruscelli nei boschi del centro Italia. E anche quando fa giorno, quella lampada rimane al suo posto, a presidiare l’angolo preferito di casa, il divano un po’ letto, un po’ scrivania, un po’ tavolo e un po’ ripiano, a volte, attaccapanni e persino poltronissima, quella sera che casa era piena di colleghi.

Essenziale. Come nel gioco, le regole. Fa luce quanto basta e quando serve – per tutto questo primo inverno, che per me doveva essere un inizio, e invece si è rivelato solo un prolungamento faticoso. Me ne sono accorta qualche giorno fa, nel pomeriggio di un mercoledì qualunque, mentre camminavo lungo Via Alessandro di Torlonia, in direzione Piazza Bologna, per raggiungere lo studio del mio medico di base, che avevo scelto per comodità, ai tempi, sotto casa. Così, ci sono tornata dopo un bel po’ in quel pezzo di città che mi ha reso le cose facili all’inizio, così viva e centrale, piena di tutti quei servizi utili, come l’estetista, il supermercato, il bar, l’edicola, la farmacia, e la metro, nel raggio di 200 metri. Le avevo provate tutte, le pizze a taglio di zona. E avevo smesso di usare il navigatore, da quelle parti. Maps è la misura del conosciuto, e dove non ti serve il navigatore a Roma, sei a casa. Vale anche per chi a Roma è cresciuto!

Mi è servito, come la mia lampada, a vedere chiaro che cosa era successo nel frattempo. Quelle sono state anche le strade e le case da cui allontanarmi il prima possibile, perché non aderivano più alle mie esigenze, evolute in poco tempo. Abitazioni vecchie e fatiscenti, appartamenti condivisi, regole non scelte e persone inabitabili. Così ho scelto un altro CAP, ben diverso, nel quadrante opposto, dove riscrivere un pezzo di storia per me. Perciò, ho caricato tutto sul furgone di Giammarco, sono salita a bordo anche io e abbiamo imboccato la tangenziale in direzione ovest. L’ho licenziato con 50 euro e una stretta di mano, perché avevo fretta di chiudere la porta.

Tuttavia, non è bastato a risolvere. Il cambiamento è un processo. Ha un inizio cieco e inconsapevole, prende campo da qualche parte e ti muove – poco a poco – dal punto in cui eri verso quello che non conosci ancora. Mi fanno notare alcuni amici, che il mio dire spesso ha pretesa di universalità. Forse un po’ hanno ragione. Non è presunzione, è quel dannato esercizio costante ad ascoltare, osservare, sentire le viscere, usare l’intuito e tenere sempre alte le difese. Se è come dico, allora, non c’è nulla da rimettere in discussione. Ma questo non mi salva dalle trappole. Non lo ha fatto quando i 16 metri quadrati di una stanza mi sembravano la scelta migliore per me, e invece sono diventati una prigione. Non lo ha fatto quando mi sono fidata di una, due, forse tre nuove conoscenze che irrompevano nella mia vita con forza, battendo i pugni per avere la mia attenzione. E poi, mi hanno scartata.

Com’è naturale che accada, quando si incrociano storie e caratteri. Il fascino dell’altro risiede proprio nel suo potenziale iniziale: rivelarsi in qualsiasi modo. Chiunque esso sia, infine, appare. Quale impatto avrà avuto nel frattempo sulla tua vita?
Irriverenti, sarcastici, dolci. Ma senza coraggio.
Pragmatici, brillanti e forti. Ma senza altruismo.
In ciascuno di questi aspetti, e in ogni momento, c’ero anche io. Non faccio mai eccezione. Più volte di quanto crediamo, l’altro siamo noi. E vestirne i panni è scomodo.
Siamo lampade da terra.

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