Ero in debito di una storia. Del racconto di un tempo perfetto: questo sono state le settimane della campagna elettorale in paese da me. Tremila abitanti, il mare, il bosco, tetti e campanili. Cibo buono e odore di pulito, più macchine del necessario, alcuni motori elaborati di troppo, un gergo stretto, a tratti selvaggio e occhi disincantati. La gente. Trame contrapposte ma legate dal filo dell’appartenenza.
Cosa si insinua silenziosamente dietro lo scroscio di un applauso? Me lo sono chiesta per settimane, alla fine di ogni comizio, di ogni serata consumata al tavolo di un bar, mentre distendevamo la tensione per l’impegno che ci eravamo presi.
I ragazzi staccano da lavoro, bevono una birra, salutano la propria fidanzata. Lei si poggia sul petto di lui, che fuma una sigaretta anche se il cielo è nuvoloso e talvolta, pioviggina. Una volta rimasti tra noi, possiamo sorridere o ridere prepotentemente per tutte le cazzate che abbiamo ascoltato fino a quel momento.
Visioni distorte e visioni sopite, rinvigorite da un nuovo pretesto: le elezioni. Alle 11 puntuale il bando dell’ambulante si confonde con le musiche prescelte che capeggiano l’auto che annuncia il comizio: “Questa sera…” – è una voce determinata, a tratti esasperata. Un’altra si sovrappone, stavolta dall’auto si riproduce una canzonetta presuntuosa, retorica quantomai, “Viva la libertà…” – dice. E un tono pulito come quello degli annunci della pubblicità locale in un cinema di provincia, ripete: “Questa sera…”
E quella sera poi, la barista arriva con la scopa e inizia a pulire tutto intorno il marciapiede del bar. Si ferma a commentare l’ultimo intervento ascoltato in piazza, e quando le chiedi di dire qualcosa su di noi, sorvola. Spazza rumorosamente anche la strada ed il messaggio è chiaro: dobbiamo levare le tende. Saluto gli altri, sapendo che il giorno dopo il copione si sarebbe ripetuto ancora, identico.
Al bar siamo stati continuamente, per fare il punto, per rilassarci, per comunicarci le cose importanti con gli occhi. Un codice sconosciuto, che si decifra seguendo le idee che abbiamo scritto, riscritto, e sottoposto all’attenzione di tanti per anni, per almeno dieci anni, da quando – appena diciottenne – facevo panini con la salsiccia e a fine manifestazione mi rendevo conto di non aver fatto panini e basta; era stato buttato un seme da qualche parte, rimasto invisibile, insignificante nel tempo. Quando portavo a bordo della mia auto un gruppo di ragazzi spagnoli venuti fin qui per parlare di riciclo, anche allora stavo seminando.
Le elezioni in un paese come il mio sono le scenario ideale per la trama di un nuovo romanzo kafkiano: l’assurdo e l’incomprensibile delle situazioni in cui viene a trovarsi l’esistenza umana si dispiegano in un ritrovato quotidiano vivace e allegro. Personaggi noti e meno noti, poggiati al palo appena fuori il perimetro della piazza, ascoltano, sorridono, i più audaci registrano come se l’esibizionismo non fosse già insito nei palcoscenici in onda. Il diffidente si allontana prima che la musica segni la fine della manifestazione, lo ritrovi poco dopo su Facebook, a ingarbugliare un commento volutamente ambiguo. Lo scrutatore non votante – direbbe Bersani.
Non sceglie fino alla fine, quando si sarà fidato della sua pancia e avrà individuato il nome da scrivere. Torna a casa indisturbato. Poche ore dopo sarà deluso, nella peggiore delle ipotesi, se la compagine prescelta ha perso; oppure sorriderà su un solo lato della bocca, che vincere piace a tutti. Non so cosa si provi, in realtà: da quando ho facoltà di voto, ho sempre preso una delle parti. Non potrei votare e basta, a Pollina. Sarebbe quantomeno riduttivo: ci si perde il bello a non partecipare. La strategia, il gioco, la tattica. E ci si accolla anche il brutto, gli sbagli, gli alti e bassi di un umore da spogliatoio che deve saper leggere i vantaggi e le difficoltà della squadra.
Alcuni comizi si sono consumati sotto un cielo che minacciava la pioggia. Una sera, a Pollina, avrebbe potuto incarnarsi di fianco a me Pirandello richiamato dal clima impietosamente angoscioso e talora paradossale in cui ero finita. Alti e bassi. Azzardi e ritirate. Silenzi e, meno spesso, parole. Questo ho imparato. Se c’è una cosa che alla gente non serve quando si fa politica, sono le parole. Men che meno se urlate, sputate nel solito porcaio che diventano le campagne elettorali. La gente desidera spazio, visibilità. Le loro cause personali diventano merce per un baratto. Sono le loro storie a porsi al centro dell’attenzione, tesi che peraltro non chiedono mai risposte, piuttosto considerazione.
Mentre si dispiegava la trama della mia gente, tessevo anche le mie narrazioni personali. Le campagne elettorali sono esperienza d’amicizia. Sperimenti la via breve per la fedeltà a un compagno, impari a conoscerlo in fretta, ad apprezzarlo, a custodirne la motivazione che lo ha spinto lì, dove sei anche tu adesso. In campo si scende con forti alleati, storici, fidati, simili, pezzi della tua vita e con nuovi volti che si prendono tutto lo spazio rimasto. Insieme. Perché a vincere le battaglie è chi le comprende meglio.
Un racconto, nel quale si percepiscono le tenzioni, le perplessità nello stesso tempo l’emozione, per una competizione elettorale, vista da chi si approccia per la prima volta in questa esperienza. Come sempre, Sofia è
meravigliosa. Descrive i momenti, che sta vivendo, con trepidazione, curiosità e semplicità interpretativa, veramente disarmante. Insomma, ti fa vivere attimo per attimo in maniera coinvolgente. Complimenti
Brava ben scritto, nel tuo scritto mi ritrovo molto, partecipare è meglio che votare, questo a Pollina si capisce immediatamente, per un instancabile curioso come me indagate sulle dinamiche più o meno palesi del voto ogni volta arricchisce di senso la mia vita in questa piccola ma forte ed orgogliosa Comunitá di Pollina “so che qualcheduno dirà Finale…, ma per me Pollina è una e indivisibile dalla torre del Teatro Pietra Rosa alle Torri che sorvegliano il mare” dove ogni 5 anni ognuno rispolvera i propri sogni più audaci e riparte la giostra, ora l’augurio è che la giostra non… Leggi il resto »