Le ragazze a Parma sono belle eh

La bici consente di andare alla giusta velocità: è abbastanza celere per passare inosservato, ma va piano a sufficienza per intercettare stralci di conversazione tra passanti.

Come oggi, appena immessa su Ponte Italia in direzione Oltretorrente, sono passata davanti a due ragazzi, saranno stati ventenni, l’età giusta per i primi assaggi di libertà in città.

Il tempismo, la sorte, o semplicemente le mie gambe troppo stanche per una spinta lunga sui pedali, hanno voluto che sentissi, di tutto un discorso chissà quanto audace, proprio quella frase.

Le ragazze a Parma sono belle.

Niente di strano. Posso immaginare sia verosimile anche una conversazione analoga, ma al maschile e che da qualche parte, sul LungoParma, due ragazze – magari due matricole appena arrivate in città – commentando i possibili scenari relazionali scaturibili dalla promettente giovinezza, abbiano detto:  “I ragazzi a Parma son belli eh…”.

Ero lì lì per frenare, fermarmi e intervistare i tipi, per approfondire un tema che appariva così leggero e libertino, ma la bici è abbastanza celere per passare inosservati, e portarmi distante, con quella supposizione mai argomentata nella mia testa: “Le ragazze a Parma sono belle eh….”

Ho provato a darmi alcune possibili spiegazioni mentre facevo slalom tra le persone sulla ciclabile di Viale Milazzo.

Forse è per via di quello che mangiano da piccole, il latte forse. Magari parlavano della tipica ragazza iperborea, graziata da Dio per aver ricevuto in dote capelli chiari, pelle chiara, insomma tutto chiaro (provate ad andare in giro pallide dalle mie parti…).

Forse sono i tratti di chiara origine vichinga che promettono aristocratiche discendenze. Forse c’era qualcosa di assolutamente fondato in quella asserzione.

Sensato nei confini di una realtà che è ancora l’unica che puoi conoscere a 20 anni. 

Mi domando se saltano sui treni, e segnino le loro road map sulla base di certezze antropologiche che vogliano a Parma le belle, a Bologna le intelligenti, a Rimini le scapestrate e via dicendo. Chissà.

Mi ricorda i miei anni al liceo, sul piazzale della stazione centrale in attesa del bus. Chiarissime evidenze fenomeniche del resto, stigmatizzavano chiunque arrivasse dalla montagna.

Quelle col dizionario in mano erano la minoranza mai in rivolta.

Ma mai niente poteva superare lo squalificante etichettamento per le ispide, sgraziate e rozze ragazze di Cerda.

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