Come ho imparato a nuotare senza annegare

Mi è tornato in mente come ho imparato a nuotare. Non avevo paura dell’acqua, né delle pietre sul fondale. Eravamo piccoli, ma nessun elemento mistico mi lega al mare, esserci nata e cresciuta non ha fatto di me una esperta in stile dorso. Ci buttavano in acqua, tutto qui. Quando eravamo alti abbastanza, papà o chi per lui, ci sorreggeva in orizzontale sulla superficie, teneva una mano salda sulla pancia e diceva: “Muovi braccia e gambe!”. Si beccava l’acqua in faccia pronto ad attuare il suo vile inganno. Mentre urlava “ti tengo, ti tengo!” levava la mano. Non è mai annegato nessuno, abbiamo bevuto parecchia acqua salata ma, togli oggi, togli domani, abbiamo capito in fretta che sbattere le gambe ti dava la forza necessaria a rimanere a galla e agitare le braccia ti portava qualche metro più in là, a urlare “Guarda! Guarda!” e “So nuotare!”.

Ad avere fiducia si impara con fatica

In spiaggia ci avvolgevano nel telo tremolanti, con gli occhi rossi e le labbra viola, poi ci mettevano in mano mezzo panino col prosciutto e ricominciava la lotta, stavolta con le vespe. E con la stanchezza di chi adesso poteva fare capriole a largo. Ad avere fiducia si impara con fatica. Mi è tornato in mente perché l’inganno è sempre il rischio che si corre a fidarsi. Anche quando dinanzi hai la bellezza del mare, che sia d’onde o un mare di opportunità. Pare funzioni così anche nel lavoro, sto scoprendo. Quel famigerato mondo che ho conosciuto tramite i racconti degli altri come il più fumoso, dubbio, infelice aspetto della esistenza. Fino a questo momento era stato per me un proverbiale passatempo. Di quelli che ti appassionano certo, ma iniziano e finiscono, come una partita a scacchi, un puzzle, l’uncinetto, un torneo di bocce.

Curriculum vitae

Ho dato ripetizioni a lungo, anche se la prima volta che qualcuno mi diede 50 euro fu perché avevo organizzato dei giochi per strada e non avevo nemmeno 18 anni. Per due settimane ho accompagnato in auto un’anziana signora dal fisioterapista tutti i giorni. Poi, c’è stato quel periodo commovente in cui una testata giornalistica mi pagava 5 euro lordi a pezzo. I miei primi solidi guadagnati scrivendo. Nonché la prima volta che ho visto un CUD nella mia vita. Devo molto a quella testata. Forse è stata l’unica volta in cui mi sono sentita a posto con me stessa. Di certo non potevo esserlo durante i mesi del glorioso Servizio Civile, la mia prima reale fonte di guadagno con la quale riuscivo a pagarmi una stanza in centro a Palermo e fare shopping senza senso di colpa. Ma del senso del lavoro comunemente inteso, quell’esperienza ha avuto poco.

Legittimarsi

Nonostante questo invidiabile nonché non dichiarabile curriculum vitae che sprizza nero da tutte le parti, solo ultimamente ho intuito cosa mi stava da sempre impedendo di vivere davvero il lavoro per quello che è: valore. Certo è più facile quando a fine giornata hai messo insieme 100 mattonelle, quando hai chiamato al telefono 30 persone registrandone le risposte, se hai venduto 10 o 20 chili di frutta, o se hai timbrato il tesserino. Lo avrai conteggiato. Non c’è niente di più empirico di ciò che è misurabile. Facile quando hai smesso di chiederti cosa fai per vivere, perché sono trascorsi cinque o dieci anni da quando hai iniziato a farlo: non c’è niente di più empirico di ciò che è ripetibile. E a un certo punto sarà così anche per me, anzi lo è già. Il primo giorno in una redazione – ovvero alla scrivania della mia stanza d’infanzia – il peraltro direttore della testata con cui avevo iniziato a collaborare mi chiamò al telefono dopo aver letto una mia bozza, non avevo mai parlato con lui prima, e mi disse: “Sofia? Allora, innanzitutto la consecutio temporum“. [Ciao Peppe].

Professione giornalista

Volevo sprofondare. Rinunciare per sempre anche solo all’idea di…posso dirlo. Ora posso dirlo. Diventare giornalista. Ci ho messo un po’, direi soprattutto righe su righe su righe, plugin, ricerche per immagini, telefonate al punto blu di Buonfornello per chiedere cosa fosse successo sulla A1 direzione Palermo. A un certo punto sul mio telefono alla voce “sindaco” seguivano tutti i comuni delle Madonie. Gmail non aveva segreti. Un giorno in redazione ci siamo detti di lasciare perdere l’informazione locale, che se un pezzo era ben fatto, poteva perfino sfidare il ranking di Google. Allora mi misero a lavoro sui NEET (Neither in Employment or in Education or Training), i ragazzi che non studiano né lavorano. Doveva venirne fuori un editoriale, ma ho fatto una fatica enorme ad arrivare a trenta righe.

Salvavita

Poi ci sono state le batoste, le parole che non ho capito, poi ho studiato tanto. Tanto, tanto, tanto. E scrivevo, e studiavo. Ho fatto cose. Sono diventata adulta. Come tutti, ho incontrato persone, formato associazioni, conosciuto la politica attiva, aperto questo blog, scritto di cose che non sapevo potessero mai intercettare il mio interesse. E mentre venivano al pettine tanti nodi di me stessa, comprendevo dove stava quel valore. La scrittura mi ha salvato per un lungo, lunghissimo tempo, forse dalla terza elementare. Era l’unico luogo in cui poter riporre il mio sentire più autentico. Era ingarbugliata, ambigua a volte, una scrittura criptica: stavo iniziando a decifrare me stessa. Ancora adesso, quando qualcosa mi turba, scrivo alle mie amiche. Qualsiasi altro, sconvolto, chiamerebbe al telefono. Io no, io scrivo. Il mio rifugio è fatto di cornici alfabetiche. Le frasi sono i lampadari. I testi sono le finestre. Questo è il mio bunker salva vita.

Questione di fiducia

Ma è stato solo quando le becere retoriche del mondo del lavoro si sono riversate anche su di me, rivelandomi quella dimensione distorta che è la vita del tirocinante, che ho definitivamente legittimato a me stessa il mio valore. E l’ho capito quando l’eco di certe parole anziché ferirmi, rafforzavano l’idea che valevo molto di più di una paghetta. Quando le maglie subdole della burocrazia si sono interposte al lavoro sotto forma del sorriso antipatico di una passacarte che ti considerava poco più di una pratica da sbrigare. Insomma, anche ad avercela una carta, un’abilitazione o due, anche a provare a raccontare la tua esperienza, probabilmente non basterà. Non subito. Ne devi mangiare di cereali sotto marca. L’altro sarà sempre più interessato a una negoziazione del tuo lavoro, con la promessa aurea della formazione a compensare quello che non si sa o non si vuole riconoscere, un potenziale. Non siamo fatti per tutti i lavori per cui ci candidiamo, così come tutti i lavori per cui ci candidiamo non sono fatti per noi. Dietro un’apparente brutta esperienza – ho imparato – c’è un mancato incontro.

Nessuna magia

E c’è la pochezza di una società in cui conta solo ottimizzare, produrre, abbattendo i costi e se ti va bene, tu sei il costo. Un peso, un prezzo da pagare per un progetto in cui forse nemmeno credi. Ho questo brutto vizio di pensare che se qualcosa non funziona, sono io l’ingranaggio che non ha fatto il suo dovere. Spesso significa solo che concorriamo ad auto-sabotarci, facendo venir meno la fiducia in noi stessi, nella capacità di distinguere uno stronzo da uno che ti vuole bene, e un’occasione da un tempo perso. Non era la mano di qualcuno a sorreggermi e non era il suo venir meno a mettermi a rischio, sono sempre stata io a scegliere di muovere le gambe, rimanendo più forte della paura e più desiderosa di nuotare nel mare, anziché guardarlo dalla spiaggia. Non sono arrivata da nessuna parte, ma non sono neanche al punto di partenza. Le cose sono cominciate a succedere senza dire grazie a nessuna dote innata, a Dio o al parente che ha un amico che conosce qualcuno. Sto imparando a fidarmi e qualcuno inizia a fidarsi di me.

7
Che ne pensi?

avatar
5 Comment threads
2 Thread replies
0 Followers
 
Most reacted comment
Hottest comment thread
5 Comment authors
Maria RinaldiSofia D'ArrigoGiuseppesamueleGismondo Recent comment authors
  Subscribe  
più nuovi più vecchi più votati
Notificami
Gismondo
Ospite
Gismondo

Tutto molto bello, anche se però sono convinto che hai sbagliato università, Parma è una bella città ma come qualità secondo me ci sono dei posti migliori come facoltà di giornalismo. Quindi, dimenticati gli insegnamenti, dimenticati tutto, cerca di essere autodidatta, learn by doing. Purtroppo quando hai scelto Parma non sapevi cosa andavi incontro, ci sta. I consigli che ti posso dare sono sempre gli stessi ma che avrebbe dovuto dare qualcun altro: – elimina le citazioni forzate di inutili scrittori del passato -massimo 20 righe altrimenti diventa un tema da studentessa di terza media che vuole prendere 9 per… Leggi il resto »

samuele
Ospite
samuele

Leggerti mi fa riscoprire il piacere di leggere.
Sono contento che hai aperto questo blog e credo che farai molta strada perché sembri proprio essere un ingranaggio ben fatto ed oleato, se ti inceppi è perché nell’intero sistema qualche altro ingranaggio non vuol far funzionare bene gli altri.

Giuseppe
Ospite
Giuseppe

Letto tutto di un fiato!Piacevolissimo!

Maria Rinaldi
Ospite
Maria Rinaldi

Penso che sto veramente iniziando a conoscere Sofia.Aporezxo quello che scrivi,capisco il linguaggio semplice che usi,arrivi direttamente al cuore delle persone ed è facile pensare “anch’io avrei voluto fare ed essere come te”…continua,non cambiare…

trackback

[…] queste intense settimane di preparativi ed enormi cambiamenti, ho avuto pure la fortuna di trovare dei giorni per decomprimere, qui, in quella che è stata la mia […]