Neve in Val Padana e gravidi pensieri

Ho chiesto alla mia coinquilina di Trento come la facesse sentire la neve, lei che la conosce. <<Come a te il sole, Sofi>>.

Il sole illumina, scalda – ho pensato ad alta voce – mi sembra che renda le giornate più piene. Anche la neve è così secondo lei. Finito di sciacquare la tazza della colazione, la poggia sul ripiano del lavandino a scolare, prende il canovaccio e incalza alle mie spalle, mentre cerco risposte oltre il vetro della cucina – fuori un tappeto bianco e gli alberi spogli. <<La neve è bella, guardala, non è come la pioggia, la pioggia fa schifo>>.

Credo che la neve sia semplicemente straordinaria. E non mi stupisce tutto questo clamore attorno, compreso il mio. La neve è un pretesto: per buttare un occhio al calendario e accorgersi che solo due mesi fa ero altrove, sentivo altre cose e i miei pensieri si accordavano a un coro diverso. Bauman dice che la costruzione dell’identità non è un processo cumulativo, piuttosto sembra un succedersi di nuovi inizi, ed è guidata dalla capacità di dimenticare, più che da quella di apprendere e memorizzare. Così, ciò che ho acquisito – a quanto pare – è solo temporaneo.

E oggi sono in un altro processo. Ad affrancarmi dalle videochiamate pressanti e deprivanti di questo tempo (non le sopporto più). A reggere con fatica lo sguardo di chi, come me, non sa che succederà dopo la concessione di un Natale in famiglia. Se sarà possibile programmare un rientro o se passeranno mesi come l’ultima volta. Se tra presente e futuro, toccherà ancora coniugare al tempo attendere. Neanche la neve mi ha restituito risposte, nonostante la sua straordinaria normalità.

Mentre facevo la ciaspolata per strada, avendo cura di non rompermi la faccia scivolando sul ghiaccio, mi riscoprivo nuova ancora una volta: così esperta di sole e luccichii sulla superficie del mare, mi ritrovo a selezionare outfit per l’inverno sconosciuto, rispolverando vecchi cappelli di lana e nuove sciarpe avvolgenti che sono incredibilmente calde e pertinenti a questo clima di città padana. Sullo stradello imbiancato ho trovato però un riflesso di paura accanto allo stupore. L’ho guardata in faccia sopraggiungere insieme all’abbondanza dei pensieri nuovi. E ho capito che siamo tutti parzialmente dislocati nel nostro qui e ora a convivere con la nostra personalità temporanea. La mia è gravida di pensieri, così gravida da non trovare abbastanza spazio nel mio ventre piccolo. E questo può essere destabilizzante o doloroso, o entrambi.

In ogni risata c’è una debole eco di paura. La speranza è che vi sia un accenno di riso in ogni moto di orrore.

Zygmunt Bauman

Chi non si sente insicuro in questo momento, del resto? Più progrediamo, più siamo sopraffatti da nuove insicurezze, è il prezzo da pagare per una vita in mutamento costante. Mi faccio domande sul mio lavoro, sull’esito dei miei studi, sulla pertinenza delle mie scelte e l’incertezza appare come l’unica certezza in una condizione che stranamente non è asfissiante, solo perché ho fede in me stessa. A torto o a ragione, non lo so. Ma una carezza (o una fetta di pandoro, o un cappotto nuovo) servono a ricordarmi che c’ero tutte le volte che ho sepolto identità defunte di morte naturale (o procurata). Ed è un bene scoprire di essere più liberi di quanto si pensasse di essere.

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