Il video hot, la camminata della vergogna e due domande da farci

Torino, 2018. Una ragazza di 22 anni, maestra d’asilo, intraprende una storia d’amore con un ragazzo. In un gioco sexy, invia immagini di nudo al compagno, e un video hot. Lui li condivide con i compagni di calcetto. Il materiale finisce tra le mani della moglie di uno di loro, che riconosce la donna in quanto maestra del figlio. È scandalo. Il video viene diffuso sui telefoni delle altre mamme e — stando alle accuse della Procura — una di loro arriva a minacciare la ventiduenne di mettere al corrente la direttrice scolastica se avesse sporto denuncia contro l’ex fidanzato. La maestra  non si lascia intimorire e presenta querela. La direttrice e la moglie «spiona» finiscono a processo per diffamazione. Nei guai anche l’ex fidanzato infedele, che ha potuto accedere alla messa alla prova: un anno di lavori socialmente utili.

WALK OF SHAME

Se dopo una serata finisci a casa di lui, si trascorre una notte di passione, il mattino seguente bisognerà pur tornare a darsi un tono prima di andare a lavoro. Specie se indossi ancora i tacchi dell’outfit da sera. Così, la strada verso casa, diventa la camminata della vergogna, pensi che tutti ti guardino e intuiscano dall’aspetto come hai trascorso le ore passate. E provi vergogna, anche se nessuno sta veramente facendo caso a te. 

Un’immagine topica, se vogliamo, rilanciata peraltro da uno dei personaggi femminili più amati degli ultimi anni: Cercei Lannister, protagonista del Trono di Spade. Punita dall’autorità religiosa di Approdo del Re, è costretta ad attraversare la città sotto gli insulti dei cittadini, sfinita e privata della sua femminilità, lercia e umiliata. La vicenda di Torino offre la versione virtuale dello stesso processo. Tralasciando il solito goliardico atto di imbecillità mascolina per cui se sei partecipe dell’intimità di quella che dovrebbe essere la tua donna, per qualche strana ragione, senti il desiderio di condividerne un pezzo con gli amici di merenda, si assiste poi all’azione di un tribunale tutt’altro che silenzioso: una donna colpevole di aver vissuto liberamente la sua sessualità, viene beffeggiata, giudicata e minacciata da altre donne, che la ritengono immorale nell’adempimento del suo ruolo di educatrice. L’autoritas, rappresentata dalla Direttrice Scolastica, donna anch’essa, interviene con il licenziamento, e la beffa: la pubblica denuncia del misfatto. E scommetto che c’è un esercito di donne là fuori pronte a dichiararsi d’accordo. Ma cosa si sta crocifiggendo? Perché l’espressione di un piacere diventa condanna? Il giudizio inferto ha veramente a che fare con il suo ruolo di insegnante?

Se fossi madre preferirei che mio figlio venisse educato da una persona libera dalle ragnatele costruite attorno all’identità dell’umano, piegato al dovere e alla sacralità, senza mai concedere spazio al desiderio. Nel frattempo, c’è una ragazza di 22 anni che ha affrontato due e più tribunali, uno dei quali però, alla fine, le ha restituito giustizia. Quanto questo le sia costato, sarebbe la suggestione da tenere bene a mente.

DUE DOMANDE DA FARCI

E tra le innumerevoli sfaccettature che la vicenda offre come spunti di riflessione (revenge porn, odio di genere, squilibri di potere: la vita sessuale di un dipendente che non infrange alcuna legge, è motivo sufficiente per deciderne l’allontanamento dal posto di lavoro?), sono due le domande che oggi mi pongo:

  1. Non sarebbe anche ora di riconoscere il problema atavico e primordiale che la nostra società ha con la sessualità
  2. L’uso degli strumenti tecnologici per la condivisione di materiale privato non è sicuro perché rimane fuori dal nostro controllo. La maestra non è colpevole di essersi concessa un gioco sessuale, ma paga l’ingenuità di averlo trasmesso in rete. L’uso della tecnologia e dei social network hanno dei rischi, occorre una nuova educazione digitale, lo abbiamo compreso?

Che ne pensi?

avatar
  Subscribe  
Notificami