Pronostico della finale di Sanremo

Come finirà Sanremo lo sapremo stanotte verso l’una e mezza. Qua si divaga su quello che è stato e perciò sarà.

Insomma, stasera il televoto incoronerà Mahmood e Blanco, senza molte sorprese, Morandi a furor di popolo salirà sul podio per secondo ed Elisa si classificherà terza, invero senza fatica né assi nella manica (come lo è stato Jovanotti per Morandi). E questa sarà stata la gara, che poi finisce sempre per passare in secondo piano durante la settimana di Sanremo che non è solo un concorso canoro, ma uno show, con regole, imprevisti e un enorme peso istituzionale.

La saga di Amadeus a Sanremo

Aveva vacillato ultimamente, forzando la comicità dei suoi super ospiti (me lo ricordo quante polemiche su Crozza, Benigni e compagnia). La saga di Amadeus pareva essere destinata alla riproposizione maniacale della retorica dell’amicizia che ci aveva stufato fin da principio, due anni fa. Quest’anno se l’è scrollata di dosso quanto basta per restituirci una scaletta scorrevole, e gli abbiamo perdonato pure i 25 cantanti in gara – di alcuni avremmo fatto volentieri a meno. Ma c’è una insolita insistenza da parte del direttore artistico su questi concetti qua: la musica e l’amicizia. Quest’anno sono sembrati meno stucchevoli e sono diventati ogni giorno più credibili. 

Oltre la paura

L’ha detto Sabrina Ferilli oggi in conferenza stampa: ognuno porta sul palco quello che è. Sarà che di palco sentivano un po’ tutti la mancanza, sarà che i baci, gli abbracci, i duetti a un palmo dal naso ricordano immagini d’altri tempi, sarà che non c’era più una paura da esorcizzare e così, è rimasto solo l’accordo emotivo che ognuno ricerca su quel palco. Come se, sprovvisti di rabbia, ansie e – ultimamente anche di pudori – tutti, conduttore, co-conduttrici, cantanti e ospiti,  non hanno potuto fare altro che offrire uno bello spettacolo. 

Premio della critica a Truppi?

La leggerezza si è presa quasi tutto lo spazio, ci ha distratti dalla canzone di Giovanni Truppi, che torneremo ad ascoltare puntualmente domani, magari in cuffia, per capire perché “Tuo padre, mia madre, Lucia” ha meritato il Premio della Critica. Tuttavia, non sarebbe Sanremo senza qualche flop. La matrice, a volerci pensare, è la stessa: l’emozione. Dieci milioni di italiani assistono alla kermesse, twittano, commentano, elaborano esilaranti meme da puntellare nell’immaginario collettivo; ognuno sceglie il proprio aforismo, fa il tifo, televota (in Rai fa ancora con l’sms e si pagano 0,51 cent).

Sanremo: i flop

Perché…perché Sanremo è uno di quei momenti in cui le anime vibrano all’unisono, diventa un rito e si sedimenta come cultura. Non fa male, è innocuo, non ha a che fare con certe narrazioni tossiche che contaminano il cervello se cambi canale. Ciò non basta a renderlo educativo, altrimenti…altrimenti distingueremmo l’ironia da uno sberleffo e avremmo evitato di assistere alla derisione di Gianluca Grignani, un’artista in evidente difficoltà umana. Praticamente, il vero flop è stato il pubblico.

Messaggi universali

C’è da dire poi, che del buffet accettiamo tutti la varietà, ma gira che ti rigira prendiamo sempre il crudités, «perché non lo mangio mai». Francamente, delle polemiche del giorno dopo non ce ne frega niente: Sanremo ha i minuti contati e, in questa settimana, ognuno si prende quello che desidera. A me, per esempio, è piaciuta Noemi, perché «Ti amo non te lo so dire» ha messo insieme due o tre pensieri che per ora mi rivoltano da dentro. Ho adorato Drusilla Foer perché le parole inclusive sono quelle universali, perché essere rappresentativi significa saper parlare a tutti, perché la libertà non conosce conservazione ma è la costante e continua riformulazione di se stessi.

Sanremo sul divano

Mi è piaciuta la freschezza artistica dei cantanti, il fascino da pubere di Matteo Romano, la dannazione di Moro, la poesia di Elisa, il dolore urlato di Irama che racconta la separazione, il concentrato Indie che LRDL ha portato sul palco chiamando Cosmo, Ginevra e Margherita Vicario. I costumi di Michele Bravi e i suoi teneri, indulgenti versi. Mi è piaciuto poter condividere le serate insieme a chi poteva filtrare lo stesso racconto in modo completamente diverso dal mio, per finire comunque a cantare debolmente insieme durante l’omaggio a Battiato e sentirsi liberi di commuoversi un po’ al risuonare di quelle parole che parevano averci letto il cuore: «Amarti è credere che…che quello che sarò, sarà con te».

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