Farzad, Isa e noi: il senso della ricorrenza

Questo è un messaggio di Farzad, un ricercatore iraniano da poco arrivato a Parma. Stamattina l’ho accolto nel mio appartamento perché è intenzionato a prendere una stanza. Quando Farzad è entrato ha iniziato a guardarsi intorno, attraversando con vivacità il corridoio e chiedendo di vedere ogni vano, la cucina, il bagno. Parlavamo in inglese e quando qualcosa non era chiaro, mi chiedeva di ripeterla vicino al suo traduttore.

Farzad

Con fare meticoloso, continuava a verificare il funzionamento della rubinetteria, degli stipiti, degli infissi. Osservando qualcosa di storto, commentava “no good”, e recependo qualcosa di buono diceva “good news”. Farzad mi ha chiesto se la proprietaria avesse problemi con gli studenti internazionali, insieme alle informazioni sul riscaldamento e sul lato della casa in cui il sole tramonta. La discriminazione insomma, è un fattore che mettono in conto, come i costi delle utenze.

Gli altri siamo noi


Abbiamo chiacchierato dei nostri progetti, mestieri e provenienze. Quando ha saputo che sono siciliana, ha detto che poteva così spiegarsi la mia esuberanza. Non mi sembrava il caso di approfondire i motivi di tanto vitalismo, così mi sono limitata a rispondere che sì, era proprio così, e che mi dispiaceva non sarebbe stato il mio nuovo coinquilino, dal momento che io come Farzad, ho scelto di andare. Il suo fare pragmatico e la certezza che gli ingegneri sono pignoli anche dall’altro lato del mondo, nonché la sua niente affatto attuale pettinatura “a spazzola”, erano elementi già sufficienti a lasciare il segno di un buon incontro, di un incontro intenso, come quelli che – di grazia – ho avuto in queste settimane.

Anche oggi


Accade tutte le volte che esco dai miei nascondigli e rifugi e mi apro alle possibilità della vita, complice un mondo in fermento che era intenzionato a risollevarsi dopo due anni di letargia. Sta succedendo, nonostante la morte ha bussato di nuovo nelle nostre giornate, portandosi appresso distruzione, dolore e miseria. Non so quale storia ha portato Fazhad qui, sicuramente una storia occidentale, come la guerra. Occidentale, come la ricorrenza odierna a cui non avevo ancora dedicato tempo e riflessione. Fazhad è stato l’unico a pormi un augurio denso di significato, “come giornalista, questo lavoro e questo giorno devono avere un significato speciale per te”.

Non c’è più un Occidente


Lo ha: è la nuova consapevolezza che “occidentale” ha smesso di significare qualcosa di veramente distintivo per me che sono donna, che sono immersa nelle contraddizioni sociali di questo tempo, che ho impiegato anni a recuperare un gap sociale di cui non avevo capito essere vittima (come ragazza meridionale e come persona cresciuta in un preciso contesto sociale provinciale, statico e giudicante), e che vittima non sono. Al netto di quelle contraddizioni tutte occidentali, oggi sono una privilegiata. Perché posso muovermi nel mondo, perché posso disubbidire senza rischiare l’arresto, perché posso dire no alle cose storte che intercetto nel mio cammino.

Isa


A pranzo, ho incontrato Isabella. Ha 20 anni e viene da Boston, le faccio da tutor per il suo periodo di soggiorno studio a Parma. Insieme, individuiamo delle storie che vale la pena raccontare, selezioniamo le fonti, contattiamo chi può darci qualche risposta, elementi, informazioni e – vedendoci sempre a orario di pranzo – consumiamo insieme il nostro pasto. Isa deve esercitare il suo italiano, io ne approfitto per il mio inglese. Oggi mi ha chiesto se in Italia effettivamente si regalano le mimose alle donne, era sua intenzione infatti, portarne qualcuna alla “signora” – come la chiama – che la ospita in questo periodo. Le ho detto che era una splendida idea, poi le ho spiegato che l’8 marzo è stato a lungo considerato un giorno di festa, alterando un senso più profondo e importante della ricorrenza, che ha a che fare invece con la possibilità di riflettere sul tema della parità di genere.

Riconoscersi

Le ho chiesto quindi cosa succede oggi in America. “Giorno di protesta”. In America vanno in piazza, non regalano mimose. Anche in Italia, da qualche tempo, c’è molta più critica a riguardo: meno pizze tra donne e più pensieri nitidi, ciascuno secondo il proprio ordine di cose. Poi, siamo andate dalla fioraia e Isa ha comprato le mimose, perché voleva essere riconoscente alla donna che la sta accudendo. Così, credo che nel riconoscere qualcuno, qualcosa, per quello che è, identificarlo nella sua fattezza essenziale, magari in rapporto a noi, sia un meraviglioso atto rivoluzionario. Distinguere e riconoscere, non discriminare.

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